Con l'espressione abuso del diritto si indica l'esercizio anormale di un diritto soggettivo.
Nel nostro ordinamento giuridico non esiste alcuna norma di carattere generale che vieta l'abuso del diritto.
E' stata la Suprema Corte, Sezione Tributaria Civile, che con la Sentenza del 13 maggio 2009 n.10981, ha puntualizzato il concetto del cosiddetto "Divieto di abuso del diritto".
Questo pronunziato sancisce che "il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati, nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell'imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell'imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge stessa, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali. Esso comporta l'inopponibilità del negozio all'Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall'operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell'operazione".
Ora una nuova sentenza (Cassazione 19 maggio 2010 n. 12249) precisa che la presenza di un contratto tipico tra le parti non esclude, in via generale l'abuso del diritto quando cela la natura abusiva dell'operazione, finalizzata ad ottenere importanti risparmi di imposta.
Il fatto che ha determinato il contenzioso riguardava una società a responsabilità limitata che aveva concesso in comodato gratuito ad un'associazione sportiva con la stessa compagine sociale la gestione degli impianti sportivi.
L'associazione sportiva incassava le somme dagli iscritti che così non venivano tassate.
Secondo la commissione provinciale e secondo quella regionale non si poteva sindacare un contratto tipico privo di per sé di finalità illecite.
La cassazione invece ha ritenuto rilevanti le giustificazioni economiche che sostengono una certa operazione, non la tipologia contrattuale utilizzata.
Fino ad oggi la suprema corte si era spinta a qualificare come abuso del diritto comportamenti o operazioni volti a evitare l'imposizione o contratti atipici.
Ora si è incluso nella fattispecie l'utilizzo di negozi tipici ritenuti privi di reale giustificazione economica e quindi ritenuti simulati.
Secondo la corte inoltre la prova dell'effettiva economicità deve gravare sul contribuente.
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