martedì 26 ottobre 2010

Si risponde dei debiti tributari solo dopo aver accettato l'eredità




La Cassazione con l'ordinanza n. 21101/2010 ha confermato l'orientamento di precedenti pronunciati (2820/2005 e 6479/2002) secondo cui secondo il principio civilistico generale non è sufficiente la chiamata all'eredità, ma è necessario lo status di erede.

L'amministrazione, secondo la Suprema Corte, deve provare detto status ossia deve provare che i soggetti chiamati a rispondere dell'obbligazione siano effettivamente eredi.
Non è possibile applicare agli altri debiti tributari l'articolo 7 del Decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, in quanto trattasi di una norma eccezionale dettata per l'imposta di successione.
La norma prevede testualmente al quarto comma :"Fino a quando l'eredità non è stata accettata, o non è stata accettata da tutti i chiamati, l'imposta è determinata considerando come eredi i chiamati che non vi hanno rinunziato." 
Si tratta evidentemente di una disposizione dettata per quella specifica imposta e non estensibile ad altre fattispecie.

Nel caso poi in cui nessuno dei chiamati l'eredità abbia accettato l'eredità espressamente o tacitamente (ovvero quest'ultimo fatto non sia provabile), è sempre possibile per i creditori proporre istanza di nomina del curatore dell'eredità giacente ex art. 528 c.c.
Questo principio  (direi al limite del lapalissiano) affermato dalla Cassazione  spesso viene dimenticato anche dai creditori "normali" che propongono azioni esecutive contro semplici chiamati, aggredendo immobili senza che l'eredità sia stata accettata o sia stato compiuto un atto comportante l'accettazione tacita, rendendo di fatto non procedibile l'esecuzione.
Ricordo che la presentazione della dichiarazione di successione (stante l'Articolo 7, comma 4) e la relativa voltura catastale non comporta accettazione di eredità; quindi per procedere contro un soggetto ritenendolo erede,  non è sufficiente che dalla visura catastale risultino a questi intestati.  

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