In data 22 febbraio 2011 si è svolta presso la VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati un’audizione del Direttore dell’Agenzia del Territorio, Gabriella Alemanno, sul tema del trattamento tributario degli immobili rurali.
In sintesi questi i contenuti della relazione.
Le vigenti disposizioni in materia distinguono gli immobili rurali in due categorie:
- gli immobili ad uso abitativo;
- gli immobili strumentali connessi allo svolgimento dell’attività agricola, con destinazione diversa da quella abitativa.
La disciplina originaria escludeva, in modo esplicito, l’obbligo di dichiarazione dei fabbricati rurali al catasto edilizio urbano. Quindi, in passato, i fabbricati rurali erano solo censiti al catasto terreni, senza specificazione della loro effettiva destinazione d’uso e senza attribuzione di rendita .
La loro incidenza economico-fiscale era ricompresa nel “reddito dominicale” dei terreni che componevano l’azienda agraria.
In considerazione delle difficoltà e del dispendio di risorse degli Uffici competenti, necessari per accertare il carattere rurale dei fabbricati, il Legislatore è stato sollecitato ad avviare una riforma, finalizzata a definire i criteri per il riconoscimento del carattere di ruralità dei fabbricati.
Le principali previsioni normative sui fabbricati rurali sono contenute nell’art. 9 del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133.
Assumono, inoltre, particolare rilevanza, ai fini catastali, le disposizioni recate dal D.P.R. 23 marzo 1998, n. 139 (emanato in materia di revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali) e il decreto di attuazione del Ministro delle Finanze 2 gennaio 1998, n. 28.
Il citato decreto ministeriale ha stabilito anche per le costruzioni rurali l’utilizzazione della procedura di aggiornamento catastale denominata “Docfa” prevista per tutti i fabbricati civili.
Pertanto alle abitazioni rurali può essere attribuita una delle categorie tipiche delle abitazioni civili (categoria “A/2”) od economiche (categoria “A/3”) in modo del tutto indipendente dalla circostanza che l’abitazione sia utilizzata da un imprenditore agricolo.
L’unico limite previsto per le abitazioni rurale è sancito dal comma 3, lettera e), che afferma: “I fabbricati ad uso abitativo, che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 [abitazioni di tipo signorile] ed A/8 [abitazioni in ville], ovvero le caratteristiche di lusso previste dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1969 …, non possono comunque essere riconosciuti rurali”.
Il quadro di classamento prevederebbe una specifica categoria “A/6-abitazioni di tipo rurale”, ma questa risulta utilizzabile -sotto il profilo dell’estimo catastale- solo in presenza di specifici indicatori (ormai rarissimi e anacronistici n.d.r.), come assenza di disimpegni, mancanza di servizi igienici all’interno dell’unità abitativa, finiture e pavimentazioni di qualità inferiore a quelle proprie dell’edilizia popolare.
Ne deriva che le diverse tipologie di fabbricati appartenenti alle altre categorie del gruppo A possono di per sé stessa possedere i requisiti di ruralità.
Agli immobili strumentali viene invece assegnata la categoria catastale più appropriata individuandola fra quelle proprie delle categorie dei gruppi ordinari (categorie C) o speciali (categorie D) in base alle caratteristiche specifiche (consistenza, presenza di impianti, etc.).
Il D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della L. 29 novembre 2007, n. 222, nel razionalizzare la disciplina vigente sulla tematica in oggetto, ha introdotto l’articolo 42-bis (Fabbricati rurali), che ha “riscritto” i commi 3 e 3-bis del citato art. 9 del D.L. n. 557 del 1993, integrato, successivamente, dall’articolo 1, comma 275, della L. 24 dicembre 2007, n. 244.
Relativamente agli immobili ad uso abitativo, la nuova legge ha modificato il concetto di “possesso” dell’immobile ad uso abitativo, sostituendolo con quello di “utilizzazione”, anche per periodi saltuari, ai fini dell’esercizio dell’azienda agricola e superando i concetti di residenza, abitazione principale o dimora.
Il medesimo articolo 42-bis, inoltre, ha ulteriormente precisato che i soggetti che utilizzano l’immobile come abitazione - in quanto titolari di diritto reale, affittuari oppure soci o amministratori di società agricole - devono rivestire la qualifica di imprenditore agricolo ed essere iscritti nel registro delle imprese di cui all’articolo 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580.
Inoltre, sono state esplicitamente introdotte altre specifiche tipologie di immobili riconoscibili come rurali e, precisamente, quelli utilizzati:
• dalle persone addette all’attività di alpeggio in zona di montagna;
• per uso di ufficio dell’azienda agricola;
• per la manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o
commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da
cooperative e loro consorzi di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 18 maggio 2001, n. 228;
• per l’esercizio dell’attività agricola in maso chiuso.
Altra importante novità introdotta dalla predetta norma consiste nel riferimento all’articolo 2135 del codice civile, concernente la definizione di imprenditore agricolo, per gli immobili diversi dall’uso abitativo, ai fini dell’individuazione della tipologia di destinazione d’uso che ne consenta il riconoscimento di ruralità ai fini fiscali.
Ora una situazione di particolare criticità è sorta da alcune pronunce della Corte di Cassazione relative all’assoggettamento alla imposta comunale sugli immobili (nel seguito ICI) dei fabbricati rurali.
Tale criticità appariva definitivamente risolta dal comma 1-bis dell’art. 23 del decreto legge 30 dicembre 2008, n. 207 (aggiunto dalla legge di conversione 27 febbraio 2009, n. 14) il quale ha stabilito, in via interpretativa, che, ai fini dell’assoggettamento alla citata imposta, “non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono
i requisiti di ruralità di cui all’ articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557” .
Ma anche successivamente all’emanazione di tale norma, tuttavia, recenti sentenze della Corte di Cassazione (per tutte sentenze Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 18565 e n. 18570, entrambe del 21 agosto 2009) hanno confermato un orientamento che, con riferimento alla vigente prassi catastale, fa emergere divergenze interpretative relative alla assoggettabilità ai fini ICI degli immobili rurali.
Nelle citate sentenze (pronunciate tutte con riferimento alla esenzione dei fabbricati rurali dall’ ICI), si sostiene che le abitazioni riconosciute come rurali e gli immobili strumentali all’agricoltura non sono soggette all’imposta solo se classificati, negli atti catastali, rispettivamente, nelle categorie A/6 (Abitazioni di tipo rurale) e D/10 (fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole).
Il predetto indirizzo giurisprudenziale si è via via consolidato: recenti pronunce della Corte di Cassazione, Sezione tributaria (dalla n. 14967 alla n. 15048, depositate il 22 giugno 2010), si uniformano ai criteri espressi in precedenza dalla medesima Corte a Sezioni Unite, subordinando l’esenzione dal pagamento dell’ICI agli immobili appartenenti alle categorie A/6 e D/10.
L’Agenzia, in varie occasioni, ha ribadito (contro l’orientamento della Suprema Corte) che i requisiti necessari e sufficienti per il riconoscimento del carattere di ruralità di un immobile devono soddisfare le condizioni richiamate all’articolo 9, commi 3 e 3-bis, del decreto legge n. 557 del 1993 e sono del tutto indipendenti dalla categoria catastale attribuita al medesimo immobile.